Letteratura
Nella poesia di Saba c’è già tutto. C’è un soggetto e ci sono i personaggi.
C’è un’inizio, uno svolgimento e c’è il finale. E in mezzo c’è il conflitto, dunque, una storia. In quelle poche righe ci sono tutti gli elementi per una drammaturgia.
Ma la poesia è sintesi e allusione. La poesia fa un uso scultoreo della parola. Alla poesia ci si accosta per empatia e comprensione. La poesia non spiega nulla. Dice tutto ma è assoluta contraddizione. Come il teatro. Il nostro teatro. E affrontare il tema della pena di morte, da qualsiasi punto la si guardi, espone alla contraddizione.
Noi, abbiamo scelto di non fuggire questa contraddizione ma di utilizzare la poesia di Saba come un rizoma e lasciarla gemmare in differenti direzioni.
Dapprima in una direzione per così dire pragmatica e realista attraverso il resoconto storiografico, vero e prorpio manuale della brutalità dell’uomo nei confronti dei suoi simili, di Jonathan J.Moore “Forche, roghi e ghigliottine. La pena di morte attraverso i secoli”.
Per indagare poi le dinamiche che sottendono l’uso della violenza pubblica, istituzionalizzata, fin dai tempi più antichi, attraverso due testi culto come “La violenza e il sacro” e “Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo” di René Girard.
Come dice Girard: “Si può ingannare la violenza soltanto nella misura in cui non la si privi di ogni sfogo e le si procuri qualcosa da mettere sotto i denti”
Sino ad arrivare al rapporto che da sempe lega uomini e animali. Perchè parlare della pena di morte è fare i conti con la bestialità dell’essere umano e nell’analisi meticolosa che ne fa Chiara Frugoni in “Uomini e animali nel medioevo”, si legge che:
“A partire dal XIII sec. gli animali che avevano procurato gravi danni o ucciso altri animali o bambini o adulti venivano sottoposti a veri e propri processi.
Incarcerati, con un avvocato difensore, l’esito era scontato: messi a morte spesso con atroci torture.Un caso ben documentato è quello di una scrofa di Falaise, nel 1386 che divorò un lattante. Fu portata al supplizio vestita in abito da uomo, per sottolineare la consapevolezza della sua colpa: vestita di una giacca, di brache alle zampe di dietro, di guanti bianchi alle zampe davanti...preferisco non soffermarmi sui dettagli delle torture”.
Pur attingendo alla letteratura, la nostra scelta è stata quella di non prendere ad esempio una singola vicenda legata alla pena di morte o un singolo fatto di cronaca.
Ma sviluppare una ricerca che ponesse al centro della rappresentazione una serie di indizi frammentari per portare lo spettatore a costruirsi una propria lettura dei fatti.
Indizi quali: un processo che ha il sapore amaro di una farsa, un omicidio/diversi omicidi, l’ultimo desiderio prima dell’esecuzione finale, il braccio della morte, una comunità sull’orlo di una crisi, il doppio/i doppi, la violenza mimetica, l’imitazione. Rispetto ai quali lo spettatore, come se avesse in mano una lente di ingrandimento, si può avvicinare o allontanare, mettere a fuoco o sfumare i contorni.