autunno 2016
Autunno 2016.
Spostato il divano a tre posti marrone, quello vecchio, di nonna Lina e la poltroncina in pelle di nonno Gimme.
Tolto il lampadario nel centro della stanza.
Staccato i cavi del televisore e del condizionatore che però è rimasto appeso al muro.
Tolto il tappeto da terra, quello blu con i ciuffi bianchi sulle estremità.
Spostato anche il tavolino di cristallo, di cristallo che si fa per dire perchè è un tavolino di vetro e di legno.
Coperto con il cellophane le tende di lino bianche.
Le tapparelle sempre abbassate.
Così i 16 mtq della sala sono rimasti liberi da ingombri di qualsiasi natura.
Solo pareti bianche e il pavimento di piastrelle degli anni ’70, con le crepe negli angoli che sono rimaste lì dove erano ovviamente.
Di porte da togliere non ce ne sono perchè il salotto si affaccia già sul corridoio.
In salotto c’eravamo solo noi due quell'autunno.
Noi due, una telecamera e tante idee.
C’era la telecamera perchè pensavamo già allo spettatore, sul fondo della parete, dietro al cavalletto.
Certo che pensavamo allo spettatore ma ci pensavamo come si pensa a qualcosa di lontano, che un giorno arriverà ma che non è ancora il momento di incontrare.
Così per due anni non abbiamo aperto a nessuno.
Quel lungo autunno, lì nella sala vuota, giornate di prove immobili diventavano notti senza che lo sapessimo dove la veglia e il sonno si confondevano.
E i personaggi che si intromettevano dentro a quei sogni finivano per rimanerci accanto anche durante il giorno.
E il giorno seguente, tutto daccapo.
In quel periodo leggevamo “Neve, Cane, Piede” di Claudio Morandini.
E la prima partitura coreografica che abbiamo scritto si chiamava proprio così: nevecanepiede.
Abbiamo cominciato così.