danza macabra
È già la fine di Gennaio e piove ininterrottamente da due settimane.
Noi proviamo da giorni, da mattina a sera.
Esco.
E dove vai?
Vado al cimitero.
Sei sicura?
Si.
Guarda che io non ci vengo al cimitero.
Hai paura del coniglio nero?
Ma no, cosa dici!
Andare al cimitero è come guardarsi allo specchio, si ribaltano le cose.
E sottosopra decido di uscire di casa.
Mi piace camminare per strada quando è così.
Cammino lentamente verso il viale alberato e poi le strade si fanno deserte.
É da tanto che non faccio una lunga passeggiata che i piedi mi fanno male.
Entro tenendo in mano il cigolio lento del cancello di notte.
D’un tratto si alza il vento e con una mano sulla testa impedisco che il foulard voli via.
In un attimo il vento diviene fortissimo, soffia sugli alberi e cadono le foglie come cade la pioggia questi giorni, a secchiate.
Pezzetti di rami secchi e un nido di uccelli rossi mi si conficcano nei capelli mentre il vento mi solleva la gonna, volano via i guanti, perdo il tacco di una scarpa e mi straccia il vestito sulla schiena.
Mi devo piegare da un lato, poi l’altro e accucciarmi per poi risalire, come se questo vento mi prendesse a sassate nello stomaco mentre mi fa danzare.
Una danza macabra, tramite lapidazione.
Macabra appunto.
Il vento mi soffia in faccia fin dentro la bocca, tra le gengive, contro i denti, mi fa vibrare la lingua, soffia così forte fin sotto le palpebre contro i bulbi oculari e nonostante tutto lo sento.
È dietro di me.
Non si scompone di un millimetro nemmeno dentro a questa tempesta.
Elegante, vestito di nero con una gardenia all’occhiello.
Il vento sbatte contro la sua schiena solida, le mani nelle tasche.
Sono grandi le sue mani.
È stretto alla base e largo nelle spalle, le orecchie lunghe sopra la testa.
Cammina con passi decisi nella direzione del vento, la mia.
Corro a ripararmi dietro al muro di pietra, di fianco all’ingresso.
Sento i suoi passi suonare sulla ghiaia.
Li sento in mezzo a questo fracasso di invisibili strumentisti d’orchestra.
A fare da spettatori gli alberi grigi.
Lui mi passa di fianco senza nemmeno girarsi.
Mi tappo le orecchie e chiudo gli occhi.
Ho il cappotto appoggiato nella mano destra e i piedi nell’acqua. Guardo la mia ombra sull’asfalto, riflesso della luce calda e arancione dei lampioni.
Cammino lentamente verso casa e mi sveglio che è già mattina.
Mi siedo sul letto con gli occhi ancora intorpiditi.
Mi colpisco in viso con tre schiaffi sonori:
“Sei proprio sicura di voler venire al mondo?
Tenteranno disperatamente di ucciderti!”







